Durante l’evento dell’Accademia dei Direttori SIMEU, ho avuto modo di intervistare la coordinatrice dei dati che avrebbero di lì a poco esposto, un medico internista del pronto soccorso. In realtà, l’ho praticamente “sequestrata” mentre si recava al tavolo del caffè e si è prestata con gentilezza e garbo alle mie mille domande.
Abbiamo parlato dei tanti mali che affliggono il nostro SSN, cosa che vediamo e viviamo ogni giorno, lei da medico, io da cittadina. Ma tra una percentuale e un’analisi sommaria su temi importanti come la comunicazione medico/paziente (un must di noi giornalisti che scrivono di Sanità) o le aggressioni in PS, qualcosa mi ha colpita, si è aperto uno spicchio di cielo sopra le nuvole grigie.
Mi ha raccontato quanto sia importante nel suo lavoro ricevere un semplice “grazie”. In un mondo dove i turni sembrano infiniti, la tensione è costante e le responsabilità enormi, la parola “grazie” può fare la differenza.
Noi dall’altra parte della barricata, spesso non immaginiamo (o non ci interessa farlo) la vita di chi lavora in medicina di emergenza-urgenza: gestire situazioni critiche, affrontare il dolore di chi sta male, prendere decisioni rapidamente e, a volte, affrontare la sofferenza per chi non ce la fa.
In quei momenti, ogni gesto è carico di umanità, ma poi ci sono le difficoltà, gli imprevisti, la giornata storta, le risorse che mancano, i farmaci che non arrivano.
Eppure, basta un grazie sincero che li aiuti a ricordare perché hanno scelto questa strada. È come un piccolo promemoria che illumina una giornata buia, che riempie quel vuoto lasciato dalle lamentele giuste e ingiuste, frutto di un sistema “malato” e sempre più povero che spesso non dipende da loro.
Il potere del “grazie” è sottile ma incredibile: è una parola che dà forza, che sostiene, che invita a non arrendersi.
E allora, la prossima volta che incontriamo chi lavora in pronto soccorso, non dimentichiamo di dirlo quel grazie.
Un gesto piccolo, che può fare la differenza tra un giorno di sconforto e la spinta a continuare.