Ogni anno decine di convegni, tavole rotonde e incontri sulla sanità spuntano come funghi, spesso patrocinati da enti prestigiosi, persino Camera e Senato. Un’occasione, ci viene detto, per discutere dei grandi temi, proporre soluzioni, immaginare un futuro migliore.
Ma quanto di tutto questo si traduce davvero in qualcosa di utile per chi vive la sanità ogni giorno?
Troppo spesso, si parla di pianeti lontani dalla realtà. Strategie mirabolanti, progetti visionari, proclami scintillanti… eppure, tornando sulla Terra, tutto resta immobile. Negli ospedali pubblici, le strutture sono ferme agli anni ’90. Nei bagni manca la carta igienica e nella sanità privata, paghi (e non poco), per poi aspettare ore o essere trattati con la stessa noncuranza del pubblico.
Gli anziani, tanto citati nei discorsi, restano esclusi dal sistema se non hanno un conto in banca da favola. Chi si occupa davvero di loro? Le associazioni di volontariato, con pochi mezzi e tanto cuore.
E intanto, chi partecipa a questi eventi si fa bello: selfie, pose, interventi ineccepibili al microfono. Tutti pronti a dire “io c’ero”. Ma dove? Nella galassia della vanità. Dove conta di più il palco che il paziente. Dove i bei propositi restano parole vuote, appese nell’aria.
La sanità non ha bisogno di passerelle. Ha bisogno di etica, di coraggio e di azioni concrete. Ha bisogno di chi, anziché parlare, si rimbocchi le maniche.
Fuffa e vanità non curano i pazienti. Semmai, alimentano quelle arpie – corruzione e mancanza di etica – che continuano a volare sulle nostre teste.