Il bus sta per arrivare e alla fermata si sente solo il rumore del traffico. In piedi accanto a me, un signore non vedente chiede: “Scusi, tra quanto passa?” Silenzio. Nessuno risponde. Così mi avvicino e gli dico che arriverà tra un minuto, chiedendogli se gli serve una mano per salire. Sorride, e mi risponde sì, magari.
Mentre aspettiamo, mi racconta che qualche giorno fa sul bus, ha viaggiato fino al capolinea, perché l’audio che annuncia le fermate era, ovviamente, guasto. Nessuno si è preoccupato di chiedergli dove doveva scendere. Non una persona che si fosse presa un momento per domandargli se tutto andava bene.
Eccolo, il bus. Ci avviciniamo alla porta e un tizio, che ci vedeva benissimo e scende dalla porta dove si sale, come è barbara usanza a Roma, quasi investe il mio compagno di fermata, che per poco non perde l’equilibrio. L’ho risvegliato dal sonno della sua imbecillità urlandogli “Attenzione!” nell’orecchio.
Arrivati alla nostra destinazione, aiuto l’uomo ad attraversare e mi ringrazia, con quella sincerità che solo chi è abituato a cavarsela da solo tra mille ostacoli e a non ricevere aiuto riesce a esprimere.
Riprendo il mio cammino, ma quel pensiero mi resta addosso. Com’è possibile che viviamo circondati da migliaia di persone e, allo stesso tempo, nell’indifferenza?
Non c’è alcuna attenzione per le persone con disabilità, almeno a Roma, con i varchi pedonali ostruiti dalle macchine, buche e ostacoli di tutti i tipi. I non vedenti non hanno modo di sapere quando arriva il bus se non chiedendo aiuto agli altri, stessa cosa per scendere e tornare a casa. Non possono essere autonomi, devono dipendere dalla disponibilità altrui.
Ma siamo sempre stati così menefreghisti o il mondo si sta perdendo vagonate di umanità?